Descrizione
Che il pane entri dentro la poesia come elemento di una quotidianità, anche ancestrale, di una consuetudine alimentare che sintetizza tradizioni secolari sedimentate e che si perdono nella notte dei tempi, non è un fatto scontato. La poesia che racconta le piccole cose di tutti i giorni può darne conto, segnarne l’inavvertita presenza, ma non si sottrae a quella monotonia dell’ovvietà, fatta di cose che ci abitano come lancette dell’orologio. Come tutte le cose che vediamo tutti i giorni, esse finiscono per non esser più viste: e il dirle non basta a fermarle e affermarle, prenderle e comprenderle. Per esser visto il pane deve mancare e traumatizzare la quotidianità, così da diventare il paradosso fondante del nostro orizzonte etico e del nostro agire politico. Il pane deve uscire fuori di sé, astrarsi dalla sua combinazione di farina, acqua e sale, per diventare un obiettivo, un simbolo di lotta.
Usciamo anche noi da questa trasparenza del cibo e sottraiamoci però anche a percorsi antropologici che cercano il pane nei processi di antropizzazione della vita e della natura. Invece è importante notare come il pane cominci a interessare maggiormente i poeti quando si fa rappresentazione, cioè incorpora, nella sua presenza e pregnanza semantica, ordini di significanza simbolica oppure introduce la sua pasta materiale nel mondo delle metafore, di un dire altro che è anche un dire più alto. “Buongiorno pane!” di Michele Licheri mostra, se guardiamo oltre il traslucido delle parole e dei versi, questa ricchezza e vitalità del pane che sottraendosi alla gabbia della chimica elementare e alimentare, spazia nella memoria individuale che trova sintesi nella persona, nella soggettività. Al tempo stesso tesse trame libertarie nella politica, riportando la polis alla sua natura di comunità, collettività, gruppo, socialità, bene comune.
È una poesia quindi, quella di Licheri, che ci trattiene sulla terra, nella trama dei rapporti sociali, nella sfera della politica nel senso più ampio e alto del termine. Ogni verso indica un filo che scopre storie e dipana narrazioni. Noi cerchiamo dentro un pane un libro così come il libro è da pensarsi come pane dell’uomo, pane culturale, alla stregua della pagnotta, del civraxiu, del carasau, de su moddizzosu, ecc. Federico Garcia Lorca, grandissimo poeta, leggendo il suo discorso per l’inaugurazione di una biblioteca nel (suo) paese di Fuente Vaqueros (1931) disse: «Non di solo pane vive l’uomo. Io, se avessi fame e mi trovassi invalido in mezzo alla strada, non chiederei un pane; ma chiederei mezzo pane e un libro. E da questo punto di vista io attacco violentemente coloro che parlano solo di rivendicazioni economiche, senza mai neppure nominare le rivendicazioni culturali reclamate a gran voce da ogni popolo. È giusto che tutti gli uomini abbiano da mangiare, ma è altrettanto giusto che tutti gli uomini abbiano accesso al sapere.» Lorca non sta sminuendo il pane: lo sta sdoppiando. Sembra riecheggiare il pensiero di Maria Zambrano, quando diceva che le “parole” sono il “pane del logos”, perché le parole sono il necessario tramite della cultura, della conoscenza: nel pane lievita la cultura e, insieme, la storia e la stessa possibilità di fare storia, di esser storia. Perché la storia è sempre storia di relazioni sociali.
Antonello Zanda
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